Visione artistica :
PAROLE DI POETICA
Racconto il mio pastello soft
a cura di Ilaria Mulè
Ho iniziato con la pittura a olio, che mi piaceva per la brillantezza e la scorrevolezza del tratto. Ho provato anche l’acquerello, che però non mi ha entusiasmato. Poi ho visto i dipinti a pastello morbido del maestro Rubén Belloso Adorna, che mi hanno subito attratto e di cui ho approfondito lo studio in occasione di un suo workshop a Roma. Mi sono appassionata a questa tecnica, mi ci sono riconosciuta, per poi scoprire che mi apparteneva da sempre.
Quando avevo all’incirca quindici anni e mia sorella ventotto, le rubai prima i pennelli, poi i pastelli (ne conservo ancora tre o quattro in un astuccio, come una reliquia). Grazie a questi piccoli furti ebbi modo di fare i miei primi quadri. Trent’anni fa la tecnica del pastello morbido non era ancora largamente conosciuta, quando l’ho ritrovata, mi ha assorbito. È un amore a prima vista, riscoperto una seconda volta, ormai per sempre.
Il pastello secco contiene una bassissima percentuale di legante, o colla, il pigmento resta per questo puro e molto luminoso. Riesco così a esprimermi con una rapidità d’esecuzione che l’olio non permette. Adesso, avendo la necessità di rappresentare immediatamente quello che sento, posso farlo seguendo l’impulso creativo, prima che un’altra emozione sopraggiunga.
Se si sceglie questa modalità esecutiva, però, si deve avere un’idea iniziale chiara di quello che si vuol fare, sapere per esempio quali strati sovrapporre e che cosa sfumare. Il rischio è quello di saturare il colore senza che si possa aggiungere un’ulteriore tocco, quindi esaurirne le possibilità di vibrazione tonale. L’olio per questo motivo mi rimane stretto, anche se ha il pregio di non aver bisogno della protezione del vetro: messo il colore sulla tela, così rimane. Le mie produzioni a pastello soft, invece, sono vulnerabili: non metto lo spray fissativo, perché rischierei un’alterazione cromatica. Finché il quadro non ha vetro e cornice, per me non è finito.
Per il contatto diretto e sensoriale con la materia, intrattengo con il quadro un rapporto che definirei erotico. Molti lavorano avvalendosi di strumenti, che di certo possono essere d’aiuto, ma io uso i polpastrelli e a volte anche l’intero palmo della mano. Pur considerando l’eventuale irritazione per le polveri, non riesco a farne a meno. C’è stato un periodo, difficilissimo per la mia carriera, in cui ho avuto problemi al polso e un’allergia alla pelle tale da non poter più usare il tatto. Ma poi ho continuato a lavorare!
Il pastello soft è fenomenale per quanto è lavorabile. Metto il colore su carta o su tavola, poi lo stendo. L’intensità la calibro con la pratica. Amo tutte le mie creazioni. Le composizioni a pastello sono racconti che mi passano tra le dita.
I
Il quadro nasce dalle mie mani. Formulo mentalmente l’immagine. L’incubazione del primo germe creativo può durare del tempo. Se vedo una scena che sarebbe bellissimo riprodurre, possono passare degli anni, ma non la dimentico, maturo l’idea. Finché non le do forma, mi perseguita.
Sento una forza creatrice dal di dentro. Quando finalmente completo il dipinto, vivo come dopo un lungo travaglio un atto di estraniazione. Quando il quadro è finito, dispone di una vita sua, è ormai diventato altro da me.
La scelta dei miei soggetti può essere mossa dalla bellezza figurativa di ciò che è al di fuori di me oppure da una suggestione interiore, un’intuizione intellettuale, uno stato d’animo.
Ritraggo figure umane dai volti assorti, con atteggiamenti o pose assunte casualmente.
Ritraggo animali, affascinata dalla loro dolcezza e rapita dalla loro anima.
Ritraggo paesaggi. Rispetto fedelmente il dato reale e ne mantengo inalterata la bellezza e poesia, oppure rappresento una natura ferita e in pericolo.
Poi ci sono momenti in cui il mio inconscio mi spinge a immagini più intime, in cui sfogo complessi stati d’animo se non addirittura presentimenti. Passo istintivamente da uno stile figurativo ad uno più surrealista, adeguandolo all’ispirazione.
Ricordo che da ragazza viaggiavo spesso (mio padre lavorava in una compagnia aerea). Mi capitava di ritrovare le luci e i colori dei paesaggi esotici nella rivista National Geographic, da cui ho iniziato a prendere ispirazione per i miei primi dipinti a olio.
Oggi sono anche fotografa e dispongo di immagini che sono il risultato di un personale lavoro creativo: dalla fase in cui si punta l’obiettivo, alla scelta dell’inquadratura e della luce. Alcuni scatti evolvono nel pastello.
La foto mi consente, ogni qualvolta la rivedo, di rientrare in risonanza con il contesto e il soggetto stesso, avvertendo ancora vivida l’impressione originaria.
Il dipinto, quando è finito, non mi parla più; una volta concluso, non sento più la scintilla iniziale. La mia speranza è che si accenda in coloro che lo vedono e si emozionano a loro volta.